Raggiunta nuovamente l’auto i due partirono alla volta di una palazzina bianca a due piani posta lungo la strada principale del paese poco prima di un incrocio semaforico.
Di fronte a quella palazzina si stendeva un campo poco curato che apparteneva alla famiglia della nonna materna e che, dodici anni dopo, l’anziana signora, insieme alle sorelle e ai fratelli, cedette al comune affinché vi costruisse un Polo Sociosanitario con annessa farmacia e bar.
Allora però l’unica cosa che era in grado di ospitare era una colonia di conigli e uno allevamento di oche che A, chiameremo così il nostro protagonista, e la sorella visitavano per dar da mangiare e accarezzare i conigli (o lo avrebbero fatto se quelle perfide oche non spaventassero i poveretti rubando loro il pane).
L’intero edificio era abitato da parenti dei due e la maggior parte delle volte si recavano lì per far visita all’anziana bisnonna, un’anziana signora, bassa, con gli occhi che ad A parevano perennemente socchiusi e capelli bianchi raccolti.
L’appartamento di colei che per semplicità i due bambini chiamavano nonna Agnese (secondo nome della sorella) si trovava al primo piano e, una volta entrati, alla destra si trova un ripostiglio dove erano depositati vecchi giochi e cianfrusaglie varie, mentre a sinistra era presente un soggiorno di piccole dimensioni con qualche mobile in legno, una tavola rotonda, un tappeto e un divano ed una piccola cucina, molto piccola, dal momento che il tavolo presente distava a mala pena un metro dal banco cucina.
A salutò la nonna e la bisnonna che gli fece un sorriso mentre andavano insieme in cucina dove lui arpionò una risma di “Famiglia Cristiana”, sfogliò rapidamente le pagine e giunse infine all’angolo delle barzellette che lesse, ridendo di ognuna.
Giunse in un secondo momento un lontano zio, che abitava in un altro paese con appresso un gioco che ad A piaceva moltissimo. Questo era un piccolo stadio ippico, un rettilineo non più lungo di 60 cm., con varie corsie dove erano disposti altrettanti cavalli, ognuno con il proprio numero e fantino colorato a mano.
Prima che lo zio lo facesse partire, era solito chiedere ad A quale cavallo pensava avrebbe vinto e, dopo vari tentativi falliti di azzeccare il vincitore, il bambino toglieva qualche modellino allo scopo di poter, almeno una volta, aver ragione.
Giunse infine la madre che, tornata dal lavoro (presso una fabbrica), era passata a prendere i figli per portarli a casa. I tre salirono sulla Passat e, in pochi minuti, raggiunsero il condominio dove vivevano.
Mentre la madre preparava la cena, pasta dei puffi per chi volesse saperlo, i due bambini andarono nella loro camera per mettersi il pigiama e giocarono con il modellino di una casa di legno dipinta di bianco finché non venero chiamati dalla madre e con lei consumarono la cena.
Terminato di mangiare giunse il padre, che lavorava e lavora tutt’oggi per un importante impresa della distribuzione al dettaglio, e la famiglia riunita raggiunse la camera dei bambini, dove giocarono a lanciarsi dei Peluche per un paio di minuti; dopodiché i genitori misero a letto i figli e lessero loro una fiaba, tratta da un grande libro dalla spessa copertina gialla, finché non si addormentarono, consentendo loro alcune ore di relax prima di coricarsi.