La cantina del palazzo

Odiava scendere in cantina, lo odiava proprio.

Ma la sua natura disponibile lo aveva spinto ad acconsentire alla richiesta del nonno di scendere nella loro cantina per prendere una bottiglia di Coca Cola perché nell’armadietto del balcone, che si affacciava sul vasto giardino condominiale dove giocava con la sorella e talvolta rincorreva uno dei gatti della colonia che vivevano tra il giardino stesso e un campo accanto, non ne era rimasta alcuna.

Prima di uscire dall’appartamento, il ragazzino voltò lo sguardo in direzione dell’inquietante statua latinoamericana o africana di cui aveva paura quando era più piccolo e questa era poco più bassa di lui e lo guardava con quei suoi vitrei occhi di legno e il suo sorriso malvagio.

Chiuse dietro di sé la porta e raggiunse le scale dopo aver superato il vecchio ascensore dove, qualche anno fa, era rimasto bloccato, e le discese velocemente.

Tra un piano e l’altro era presente una balconata dove erano lasciate tegole, probabilmente per eventuali opere di manutenzione e che servivano inoltre al personale che faceva le pulizie per velocizzare l’asciugatura delle scale. Una volta era salito fino alla soffitta ed era riuscito a vedere il panorama; che bello che era…

Si vedevano le macchie di verde che comparivano un pò a caso, lo stabilimento dell’impresa che produceva i famosi dadi e i sughi e che da piccolo visitava con il nonno attraversando la strada per comprare gli omogeneizzati, la grande impresa tecnologica con la sua strana torre, il casello autostradale con il cartello luminoso ed infine la villa chiusa con una statua equestre.

Continuando a scendere le scale, il ragazzino raggiunse il piano terra e decise di raggiungere le cantine dal locale caldaie che, dai cartelli affissi, pareva pericolosissimo ma che lui e la sorella avevano percorso più e più volte.

Uscì dalla porta ed entrò in giardino e dopo aver dato un rapido sguardo all’albero dove qualche tempo fa aveva assistito alla sepoltura di uno di quei gatti randagi morto forse di vecchiaia forse di inedia, cosa che gli fece ricordare Jacques, il suo gattino, anche lui uno di quei randagi che si era portato a casa ma che poco tempo dopo era scomparso nel nulla, salì sul divisore tra lo stradino e il giardino erboso e lo percorse in equilibrio cadendo però alcune volte.

Scese anche le scale che dal giardino lo avrebbero portato alle caldaie e ne attraversò il corridoio giungendo infine all’anticamera che dalle cantine conducevano ai garage.

Aprì la porta ed accese la luce, entrando nelle cantine, un locale dai muri sporchi, rovinati dall’umidità, vecchi dal momento che, da quello che ricordava dai racconti del nonno il palazzo risaliva agli anni ’70.

Raggiunse la porta che dava all’ascensore e alle scale del palazzo dell’appartamento della nonna e ne accese la luce; dopodiché percorse di corsa il corridoio che dava ai vari locali adibiti a spazi personali.

Sembravano celle monastiche le cui porte non erano di legno, bensì di lamiera marrone, colore che non aiutava a diffondere la scarsa luce che filtrava dai pochi lampadari.

Aprì rapidamente la porta dello spazio dei nonni ed accese la luce; nella stanzetta erano parcheggiati due vecchi motorini, che appartenevano alla madre e allo zio, una macchina per imbottigliare il vino che un amico del nonno inviava ogni tanto, sulle mensole bottiglie di vino molto vecchio (se non ricordava male alcuni risalivano agli anni ’50 e ’60) e per terra le bottiglie d’acqua e di Coca Cola.

Aprì la il contenitore d’acqua più velocemente possibile d estrasse una bottiglia e uscì dalla cantina chiudendola a chiave.

A quel punto le luci si spensero, la paura si impossessò del ragazzino che si mise a correre verso la porta che conduceva alle scale ma inciampò; sentì un rumore dietro di lui e cercò di rialzarsi quando anche la luce dell’altro locale si spense lasciandolo nella più completa oscurità.

Non vedendo niente e sentendo nuovi rumori, decise di gattonare alla cieca ma un rumore che sembravano passi parve farsi più forte, qualcuno, lo stava inseguendo.

Si alzò e si mise a correre tenendo le mani davanti per evitare di sbattere contro il muro, ma il rumore si faceva più forte; la cosa che lo seguiva lo avrebbe raggiunto, lo avrebbe preso e portato in uno di quei locali, in uno di quelli che nessuno usava da anni e lì sarebbe morto, in un luogo che odiava e che gli faceva paura.

Raggiunse lo spiazzò che divideva le porte del garage e quella del palazzo, quando gli parve che la cosa potesse prenderlo, la porta del palazzo si aprì ed apparve un’anziana signora che viveva sotto i nonni con un Golden Retriver chiamato Mickey.

La signora accese la luce e chiese al ragazzino cosa facesse al buio ma vedendo la bottiglia che il ragazzino teneva in mano come un bastone, capì che era sceso per prendere la Coca Cola e salutò lo salutò chiedendogli di salutargli i nonni, dopodiché si incamminò verso il cancello del garage.