L’obbedienza in Socrate

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LA VITA IN BREVE

Socrate nacque nel 470 a.C. figlio dello scultore Scofronisco e di Fenarete, una levatrice; fu probabilmente membro di una famiglia aristocratica e partecipò in qualità di oplita alle battaglie di Pontidea, Anfipoli e Delio dove, racconta Platone nel Simposio, avrebbe salvato la vita ad Alcibiade.

Nel 406 a.C entrò nella Boulé (consiglio dei cinquecento) e fece parte della Pritania chiamata a giudicare il caso dei vittoriosi ammiragli delle Arginuse accusati di aver abbandonato cadaveri e naufraghi in mare dopo la battaglia. Fu l’unico ad opporsi alla condanna a morte poiché il processo venne celebrato in pubblico e condotto in maniera superficiale.

Nel 404 a.C., poco dopo l’instaurazione del regime dei trenta tiranni, Socrate venne incaricato di arrestare il democratico Leone di Salamina perché potesse essere giustiziato ma egli rifiutò di eseguire l’ordine preferendo rischiare ritorsioni piuttosto che adempiere ad un azione da lui ritenuta immorale.

L’ESSERE E IL SAPERE

Nell’Apologia di Platone a Socrate vengono attribuite le parole “Io so di non sapere.”; questa frase esemplifica perfettamente la decisione del filosofo greco di non impegnarsi a fondo nella vita politica di Atene poiché il Daimonion (segno divino) gli aveva mostrato chiaramente i suoi limiti-

L’uomo, secondo Socrate, sarebbe in possesso di un Io rappresentato dall’anima a cui si dovrebbe attribuire un culto appropriato la cui manifestazione consisterebbe in una ricerca del bene attraverso la pratica delle virtù.

L’obiettivo principale dell’uomo dovrebbe essere l’auto-perfezionamento dell’anima insieme allo sviluppo fisico. Attraverso la sua trasformazione in “io”, l’anima diviene principio individuale che l’uomo è tenuto a coltivare attraverso l’adozione di uno stile di vita etico e conforme alle virtù.

Una vita secondo virtù per Socrate si persegue attraverso l’elezione del Logos (ragionamento) a base dell’agire; ogni azione corretta infatti presuppone alla radice una riflessione e una ricerca introspettiva che porta l’uomo a conoscere se stesso.

La virtù punta quindi al conseguimento dell’ agathon (bene) non inteso come tradizione vuole, ovvero portatore di fede e onori, bensì come generatore di benefici per l’anima.

La frase citata all’inizio del paragrafo indica implicitamente l’importanza dell’Elenkhos (confutazione)nel pensiero socratico allo scopo di combattere la presunzione di sapere tutto e l’arroganza che ciò che si conosce corrisponda ad una verità assoluta.

IL SOCRATE POLITICO

Come abbiamo menzionato precedentemente, Socrate non fu un autore politico molto prolifico e gran parte dei suoi insegnamenti in questo ambito ci sono pervenuti dalle opere di filosofi suoi contemporanei o a lui successivi.

Tra questi possiamo citare Senofonte e Platone che si impegnarono in una riabilitazione postuma del filosofo ce entrambi descrissero come un uomo che riflette sugli effetti della virtù attraverso l’incontro con esperti in vari settori.

Il buon governante è competente ed grado di imporre la propria conoscenza e la propria concezione di bene e male, contrariamente l’individuo dovrebbe corrompersi.

Mentre nel Protagora di Platone Socrate descrive l’assemblea popolare  come gruppo di tecnici senza competenze politiche, nelle Memorabili Senofonte mostra un Socrate profondamente sfiduciato verso i cittadini-politici, lavoratori abituati a ragionare da bottegai.

L’unica categoria di individui in grado di ottenere tali competenze sarebbe quindi quella di coloro che non necessitano di lavorare per mantenersi; quindi l’attività politica dovrebbe essere riservata agli aristocratici della polis che formavano la totalità degli studenti di Socrate.

Una delle accuse mosse a Socrate dai suoi contemporanei e da autori postumi sarebbe quella di aver traviato due membri di tale aristocrazia che furono suoi allievi: l’oligarchico Crizia (membro dei trenta tiranni) e il democratico Alcibiade (che salì al potere dopo aver scacciato gli spartani e i trenta).

In aiuto del maestro però giunge Senofonte che accusa i due allievi di Socrate di aver sfruttato il vecchio filosofo impossessandosi delle sue conoscenze per poi utilizzarle conquistare il potere e commettere nefandezze.

IL PROCESSO E L’OBBEDIENZA

Nel 399 a.C. il nuovo regime democratico da poco tornato al potere ad Atene, allo scopo di riunire la cittadinanza attorno al nuovo governo, imbastì un processo contro Socrate tentando indirettamente di colpire il partito oligarchico.

La principale accusa mossa a Socrate fu di Asebeia (empietà) e tra i maggiori accusatori figurarono due membri importanti del nuovo ordine Anito e Licone mentre colui che scagliò l’accusa fu Meleto.

Durante il processo Socrate si difese molto bene mentre il lavoro degli accusatori fu lacunoso (soprattutto l’orazione di Meleto), nonostante questo, trattandosi di un processo politico, la condanna fu inevitabile.

I nemici di Socrate non avevano puntato alla condanna a morte, ma il rifiuto del filosofo di abbandonare la sua città impose l’adozione della sanzione estrema.

Nel Critone Platone mostra il lato più politico di Socrate. Ormai certo della morte, il filosofo riceve la visita del discepolo Critone che lo implora di abbandonare la città e salvarsi adducendo il rischio per lo stesso Socrate di essere ritenuto uomo da poco per non aver approfittato di una buona occasione per salvarsi e accusandolo di assumere un atteggiamento poco virile.

Il maestro rimprovera il discepolo di nutrire troppo aiskhyne (timore del biasimo degli altri) e confessandogli che l’unico giudizio importante è quello espresso da individui eticamente competenti.

Socrate, conscio delle conseguenze della sua scelta di non fuggire, ritiene inoltre che le uniche conseguenze da considerare sono quelle che hanno effetto sull’anima umana che soffre maggiormente se si compie un’ingiustizia come scappare davanti ad una sentenza.

La legge e il suo rispetto sarebbero il fondamento su cui poggia l’esistenza stessa della Polis, nessun cittadino ha il diritto di contravvenire alla legge.

Le sentenze non possono essere disattese poiché la legge è infallibile e l’autorità che essa esercita sugli individui è assoluta (come quella del padre sul figlio); essa però non è perfetta ed è quindi necessario che i cittadini più competenti si attivino per la sua modifica e il suo perfezionamento.

Socrate sente di non aver ottemperato al compito di perfezionare Atene dal punto di vista etico-politico e per questo viene condannato dai suoi concittadini imperfetti e non dalla legge.