I pionieri della psicologia dell’adolescenza -1

INTRODUZIONE

La vita umana è segnata da più fasi (o cicli come le definisce Erik Erikson) che si succedono dalla nascita alla morte dell’essere umano .

Grazie a mutamenti ed evoluzioni interne all’individuo questi è conscio del passaggio da una fase all’altra (percezione individuale), diversa invece si rivela la percezione sociale del cambiamento, essa infatti varia a seconda dell’epoca e del luogo in cui il soggetto dell’analisi vive.

LA NASCITA DELL’ADOLESCENZA

Il concetto di adolescenza si diffuse in Europa e Stati Uniti a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo quando si assistette alla nascita di una rudimentale società dei consumi grazie allo sviluppo tecnologico in campo industriale e al miglioramento delle condizioni di vita della classe lavoratrice grazie alle lotte portate avanti da movimenti progressisti e socialisti.

Proprio il miglioramento delle condizioni di vita della fascia meno abbiente della società fu alla base della “nascita” dell’adolescenza poiché un numero sempre maggiore di minori, grazie all’aumento delle entrate famigliari, poté evitare il traumatico passaggio dall’infanzia all’età adulta che invece interesso i genitori.

Venne così ad inserirsi tra le due principali fasi della vita un periodo di transizione che fin da subito interessò un nutrito numero di studiosi di vari campi (soprattutto psicologi e psicanalisti).

STANLEY HALL (1846-1924)

Stanley Hall fu uno dei più celebri psicologi americani del suo tempo, dopo aver conseguito il dottorato presso l’università di Harvard (venne seguito da William James, psicologo funzionalista) e collaborò con lo psicologo e fisiologo tedesco Whilelm Wundt presso il suo studio a Lipsia importandone negli Stati Uniti il metodo; fu inoltre colui che fece conoscere personalmente al pubblico statunitense Sigmund Freud e Gustav Jung invitandoli a parlare nel 1909 (episodio rappresentato in parte nel film A Dangerous Method).

Fu pioniere nel campo della psicologia dell’adolescenza poiché fu il primo a cogliere gli effetti che la Belle Epoque manifestava nella vita dei figli della working class.

Egli ritiene che l’adolescenza rappresenti una rottura con l’infanzia, i cambiamenti nell’adolescente segnerebbero la morte del fanciullo e la nascita della nuova figura poiché le caratteristiche dei due individui sarebbero talmente difformi da far escludere la possibilità di una continuità, sostiene tale tesi attraverso un continuo confronto tra bambino e adolescente.

Come nel caso della morte reale anche il passaggio all’adolescenza è drammatico poiché è durante questo periodo che nascerebbero, secondo Hall, sentimenti contrastanti e si verificherebbe un’alternanza inusuale di stati d’animo.

Fa inoltre suoi due principi cari all’antropologia del secolo scorso tra loro correlati ovvero l’ereditarietà delle caratteristiche acquisite e il fatto che queste si manifesterebbero nell’individuo nel corso dell’adolescenza.

Hall deduce da questa connessione che gli atti deviati, così da lui denominati quelle azioni contrarie alla morale ancora vittoriana, castratrice e tradizionalista del mondo anglosassone dei primi del ‘900, compiuti dall’individuo durante l’adolescenza possano influenzare non solo l’individuo in età adulta ma anche i suoi eredi causando in tal modo un declino della società.

In ultimo vorrei ricordare il sostegno di Hall alle teorie evoluzioniste del biologo tedesco Ernst Haeckel (teorizzò l’influenza ambientale sull’evoluzione) ed in particolare al sistema della ricapitolazione secondo cui nello sviluppo di ciascun individuo è possibile scorgere la storia dell’evoluzione sociale dell’umanità; l’individuo sarebbe quindi sia uno che, indirettamente, tutti.

Questo suo sostegno si evince dalla sua convinzione della costanza biologica dei caratteri dell’adolescenza che non risente di contaminazioni sociali e culturali, un adolescente cresciuto all’interno della borghesia newyorkese manifesterebbe le stesse caratteristiche e patologie di un adolescente cresciuto in un villaggio Papua da una famiglia di bassa estrazione.

Questa parificazione appare oggi quasi ridicola ma al tempo il lavoro di Hall fu apprezzato da molti suoi colleghi europei che ne introdussero i principi nelle rispettive patrie.

ANNA FREUD (1895-1982) E LA TEORIA PSICANALITICA

A causa dell’ascesa del nazismo in Germania, molti psicanalisti dell’area tedesca dovettero abbandonare il loro Paese alla volta soprattutto degli Stati Uniti.
Mentre la perdita di queste menti costrinse la Germania a tornare indietro di decenni negli studi sull’analisi del pensiero (e non solo), l’emigrazione fece la fortuna delle università statunitensi che accolsero tra gli altri Anna Freud, figlia di Sigmund (immigrato pure lui negli Stati Uniti) anche lei psicanalista.

Durante il suo periodo americano la Dr.ssa Freud studiò con interesse l’adolescenza da lei ritenuto un periodo di forte agitazione istintuale la cui energia si sprigiona (fu la prima ad notare il cambiamento qualitativo che si registra nel corso della pubertà).

Questa esondazione di energia istintuale viene però contenuta dall’attività castrativa dell’Io che durante l’adolescenza intensifica la sua attività.

Facendo sua la teoria ricapitolativa del padre, la Freud afferma, al contrario di quanto sostenuto dal mondo accademico, che la sessualità non nasce con la pubertà ma in età infantile (in accordo con la psicoanalisi) e che la fase puberale rappresenti solo il primo step della ricapitolazione della sessualità infantile.

In questa fase si assiste al conflitto tra un Es potente ed aggressivo ed un Io non ancora sufficientemente forte per contrastare l’avversario da solo. Le capacità dell’Io si formano nel periodo di latenza e sono fortemente influenzate dalla costituzione del soggetto.

A sostegno dell’Io, nella sua lotta per frenare gli impulsi istintivi sessuali, possono essere adottati due atteggiamenti: l’ascetismo e l’intellettualizzazione.

1- ascetismo: partendo da quegli istinti soggetti a proibizione durante la fase pre-puberale, l’ascetismo si estende a qualsiasi istinto di natura sessuale mancando inoltre di fornire un qualsiasi appagamento sostitutivo al piacere derivante anche solo da fantasie di natura sessuale.

Questa repressione può portare l’adolescente ad un successivo periodo di eccessi, passando da una totale astinenza ad un eccesso rispetto al reale bisogno.

La figura dell’adolescente (il più delle volte una ragazza) che vive quest’esperienza è molto utilizzato nell’industria dell’intrattenimento di massa, un possibile esempio è rappresentato dalla protagonista del libro di Stephen King Carrie oppure nel personaggio di Anna Nishikinomiya dell’anime giapponese Shimoneta.

La storia di Carrie dimostra anche la fallibilità dell’oggettività biologica dei caratteri dell’adolescenza di Hall.

La protagonista, cresciuta da una madre single fanatica religiosa, non è preparata come le compagne alla pubertà che conosce solo attraverso la drastica azione anti-sessuale della genitrice (strumento d’ascesi dissuasivo-repressivo).

Il desiderio a lungo represso inizia però a manifestarsi positivamente quando un ragazzo le chiede di andare al ballo di fine anno con lui, insieme ad esso però giungono tanto la reprimenda  retorica cristiano-conservatrice quanto la punizione della madre (nei panni anche di Io).

La repressione però non sopprime il desiderio in quanto Carrie non è più nella fase dell’infanzia, ma fa germogliare l’eccesso (rappresentato dai poteri demoniaci della ragazza) che raggiungeranno lo zenith durante il ballo (ironicamente allo zenith della felicità).

Per quanto riguarda il personaggio dell’anime giapponese che chiameremo Anna, l’ascetismo è rappresentato dal contesto di vita e dalla posizione che detiene nella scala gerarchica dell’istituto che frequenta.

Ci troviamo in un Giappone retto da una dittatura della morale, dove qualsiasi desiderio od atto sessuale viene ritenuto e propagandato come una perversione disumana, Anna è figlia di un politico e presidente del consiglio studentesco il cui compito è tutelare la “purezza” delle giovani generazioni.

A causa di un evento traumatico (bacio accidentale con il protagonista), Anna si trasforma da  dolce ragazza ingenua in predatrice sessuale con una nevrosi possessiva nei confronti del protagonista  e una Sindrome genitale (patologia riscontrata la prima volta nel 2001 dalla dr.ssa Sandra Leiblum) o ipersessualità femminile.

2- Intellettualizzazione: questo atteggiamento segue l’ascetismo pre-puberale (evitando quindi il possibile rischio di un successivo eccesso) e si concretizza nell’astrazione della pulsione istintuale che viene così confinata all’interno dell’individuo che ne ottiene una parziale soddisfazione.

Secondo Anna Freud inoltre la repressione partirebbe dalla rimozione del desiderio incestuoso nato durante l’infanzia  che a sua volta causerebbe un rifiuto degli oggetti della propria infanzia ed ad un distacco tra Io e Super Io (ancora legato all’attrazione nei confronti dei genitori).

Gli oggetti dell’infanzia possono essere però sostituiti nella loro veste di destinatari di attrazione da soggetti di qualsiasi sesso e della stessa età o superiore, oppure non essere sostituiti affatto e tale mancanza, unita alla formazione di un io anti-incestuoso, darebbe vita ad un individuo asociale.

Mi scuso per l’eccessivo spazio concesso ad Anna Freud e  al fatto che non potrò parlare di psicanalisti del calibro di Jones, Aichorn e Peter Blos ma il tempo per questo articolo è terminato, se vi è piaciuto spero abbiate la pazienza di attendere il prossimo articolo in cui tratterò della scuola antropologica e di Kurt Lewin.

Grazie per l’attenzione e se volete approfondire gli argomenti trattati potrei suggerire:

di Anna Freud: L’Io e i meccanismi di difesa (1936)

di Stanley Hall (in inglese): Adolescence (1904)